
Simone de Beauvoir, Il secondo sesso
Milano, il Saggiatore, 1961, traduzione di R. Cantini e M. Andreose, I vol. 326
p., 11 vol. 533 p
Edizione originale: Le deuxième sexe, Paris, Gallimard, 1949
Le deuxième sexe di Simone de Beauvoir esce nel 1949, in Italia arriva a più di dieci anni di distanza, nel 1961, pubblicato dal Saggiatore. È fra i libri più tradotti e venduti nel mondo rispetto alla questione femminile. Al suo apparire, come ricorda la stessa de Beauvoir, suscitò molti entusiasmi, ma anche ostilità e reazioni volgari, da cui non fu esente parte della cultura di sinistra[1].
Quando esce il libro, la guerra è finita da quattro anni, anche la Francia fa parte dei paesi che sono stati stravolti, materialmente e spiritualmente, dall’occupazione nazista e dal collaborazionismo. Nel ricambio delle generazioni intellettuali è il momento magico dei giovani esistenzialisti; alcuni di loro hanno abbandonato l’adolescenza per l’età adulta per quell’accelerazione del tempo che le catastrofi impongono. Figli della vecchia Europa, si tuffano nella scrittura e nell’insegnamento ponendo interrogativi nuovi; lavorano sul concetto di libertà, stretti fra il ricordo delle esperienze drammatiche della Resistenza e la fascinazione per lo svecchiamento dei costumi e della mentalità portata dal contatto con la cultura americana. Nel gruppo esistenzialista Simone de Beauvoir condivide da protagonista la costruzione filosofica intrapresa dal suo compagno, JeanPaul Sartre, e dal comune amico, Merleau-Ponty. Queste “filosofie dell’alterità”, della “libertà” e del “progetto”, del liberarsi dall’ “immanenza”, interrogano un soggetto femminile in carne ed ossa. Che cosa vorrà dire per una donna andar oltre l’immanenza, trasformare le gelatine vischiose della natura, della tradizione, di un mondo già dato nelle sue tappe e nei suoi esiti, in un progetto di libertà?
A dare sangue alla filosofia, stanno per Simone due altri elementi: il primo, ancora intellettuale, è lo sguardo comparativo con cui un antropologo ancora poco noto, Claude Lévi-Strauss, propone di interpretare civiltà “altre” nel tempo e nelle distanze. “Per la prima volta – scriverà Ida Magli – nel Secondo sesso viene assunto il metodo comparativo antropologico per la storia delle donne, e viene citata (anche in questo caso per la prima volta) la tesi di laurea Le strutture elementari della parentela di Claude Lévi-Strauss senza cadere “nella trappola del ‘matriarcato”[2]. Il secondo elemento è sostanziale: il fatto di ritrovarsi, donna, riconosciuta nel proprio valore di studiosa, a contatto quotidiano con una cultura da lei amata e assimilata, ma creata quasi totalmente da uomini[3]
Il secondo sesso si pone due grandi ipotesi: la donna è l’Altro per eccellenza, specchio per l’uomo del suo destino contingente, della fragilità della sua stessa carne. Il “secondo sesso” è una costruzione sociale; non esiste, insomma, una natura femminile: “Donna non si nasce, lo si diventa” (II vol., p. 15). Il libro (di circa ottocento pagine) è diviso in una prima parte dedicata a I fatti e i miti, in cui si ripercorre il Destino, la Storia, i Miti, per cui la donna si è costituita come “l’Altro” nel corso del tempo e nella varietà delle culture; e in una seconda parte, dal profetico titolo L’esperienza vissuta, in cui l’autrice ci affonda nelle tappe della formazione femminile (infanzia, adolescenza, vita sessuale, maturità, vecchiaia) e nello specchio poliedrico dei ruoli femminili: vergine, sposa, madre, prostituta, lesbica, narcisista, innamorata, mistica, fino all’aprirsi dello spiraglio della libertà e di una possibile indipendenza.
La mole delle fonti citate, dei materiali riletti e proposti, attinti soprattutto dalla letteratura, dall’antropologia e dalla psicologia e psicanalisi, è enorme. Non ci resta soltanto la lezione di un approccio multidisciplinare che non perde di vista il centro; Il secondo sesso presenta una ramificazione del discorso tale da offrire una miriade di spunti per l’apertura di possibili piste di ricerca. È un libro citato molto spesso come un caposaldo, un fondamento, eppure oggi è di fatto trascurato, quasi dimenticato. Non basta per comprenderne il perché dire che si tratta di un testo datato, come la stessa de Beauvoir ammetteva: “Penso che Il secondo sesso apparirà fra qualche tempo un libro vecchio e datato, ma nonostante ciò avrà dato il suo contributo. In fondo, lo spero”[4]. È naturale che la nostra autrice ci appaia oggi immersa nel suo tempo: una classe sociale, un ruolo, una sensibilità creano quella particolare distanza da noi, ma ci deve essere dell’altro: ci sono scrittrici più lontane temporalmente che sentiamo incredibilmente vicine.
Simone iniziava il Secondo sesso dichiarando che avrebbe scritto un libro sulla donna e che “Il soggetto è irritante, soprattutto per le donne; e non è nuovo” (I vol., p. 13). Qualcosa della stessa irritazione di cui lei parlava deve essere passata nello stesso movimento culturale delle donne rispetto a questa poderosa, troppo brava madre. C’è effettivamente un aspetto che ci distanzia (ed è bene o male?) da Simone: oggi la nostra cultura femminista è diventata “cultura femminile”. Chi più chi meno, a seconda delle correnti a cui aderiamo, forse anche quelle che non amano forme di “essenzialismo”, almeno in parte tutte accettiamo una qualche forma di “mitologia del femminile”, non ci dà fastidio che la cultura femminista si riconosca anche “cultura femminile”. Simone si trova su un’altra lunghezza d’onda.
Nella disputa sulla differenza dei sessi nella cultura francese, la sua posizione è vista da Françoise Collin alimentare “la corrente egualitaria non quella differenziale del femminismo”, “erede del pensiero illuminista rivisitato dal marxismo”, ma anche affine alla corrente contemporanea che decostruisce il “gender” come costruzione culturale e sociale[5]. Lei ha decostruito il soggetto femminile, tenendo però fortemente salda l’idea del soggetto umano; “C’è nella condizione umana maschile e femminile un genere di universalità in cui continuo a credere” [6]. Rosi Braidotti riconosce che il “punto di partenza delle teorie del femminile come differenza è la consapevolezza della donna di essere “l’altro” (de Beauvoir, 1949), il polo costantemente negativo nella tavola delle opposizioni pitagoriche classiche: giorno/notte, pieno/ vuoto, maschile/ femminile, attivo/ passivo, ecc.”. Ma avverte che “In Francia, l’analisi femminista ha assunto un’angolazione del tutto particolare: la questione del luogo di enunciazione delle donne coinvolte nel discorso teorico è divenuta il luogo di nuovi tentativi di trasformazione degli stessi segni che le donne manipolano” [7]. La de Beauvoir non si è mostrata né interessata né disponibile a questo tipo di discorso che ha poi raggiunto i suoi esiti in anni recenti nella decostruzione del soggetto. Per lei il linguaggio esiste ed è veicolo di comunicazione universale, e così pure il soggetto esiste; la crisi può essere sociale, morale, ma non è la nostra crisi della frantumazione del soggetto come tale. Ci si può spiegare in questa chiave perché, nell’intervista già citata ad Alice Jardine del ’77, di fronte all’incalzare dell’intervistatrice che le proponeva una valutazione dell’opera di Kristeva, Cixous, rigaray, il Castoro si permettesse di rispondere in modo quasi presuntuoso e negligente: “Qualche volta ci sono avanguardie che si credono tali e poi invece si ritrovano assolutamente datate… un po’ alessandrine nei fatti”
Ma bisogna trovare oggi un modo di rileggerla. Avrebbe senso, forse, una sua rilettura, o più riletture, condotte però con ipotesi molto marcate, con il gusto di riscoprire ciò che ci rende distanti e ciò che ci avvicina a lei. Se la rileggessimo con attenzione ai suoi aspetti più discorsivi, meno “filosofici”, meno “sartriani”? O, al contrario, andando fino in fondo, con la sensibilità di oggi, al suo legame con la filosofia di Sartre oppure al suo legame con l’uomo Sartre? Parlare di lei e del Secondo sesso, è, come è stato più volte detto, ripercorrere un’avventura intellettuale originale, ma è anche identificarsi con una donna in coppia: una coppia mitologica, di quelle che il filosofo Ernst Bloch indicherebbe come una “alta coppia”, un archetipo antico trasferito nelle esuberanze e nelle sofferenze della modernità, che espresse la ricerca di una sperata (o disperata) quadratura del cerchio: stare in coppia “dicendosi tutto”. Ma la perfetta sizigia non si è forse realizzata e questa contraddizione ce la rende vicina. Lo dice bene Maria Antonietta Macciocchi nel suo necrologio di Simone su El Paìs: “En la ambigua relaciòn que Simone viviò, entre feminismo proclamado y secreta sumisiòn ancestral a Sartre se basa su verdad de mujer. Pero también su libertad”[8]. Molti necrologi hanno insistito su questo aspetto:
“Si Sartre fut le plus doué, Beauvoir pourrait bien, par son application même, avoir pesé plus lourd sur son temps. Le féminisme n’aurait pas explosé dans le monde entier, depuis trente-cinq ans, sans le Deuxième Sexe. Beauvoir laisse le plus beau bilan que puisse dresser une conscience: une victoire sur la fatalité puisque telle apparaissait la condition féminine avant elle”[9]. Nei gruppi di lettura che si formavano spontaneamente agli inizi degli anni Settanta e che hanno preceduto in alcuni casi quelli di autocoscienza, fra studentesse in bilico tra liceo ed università e donne che già lavoravano, ma che in molti casi intendevano riprendere gli studi, Il secondo sesso è stato un testo di formazione. Per quanto mi riguarda, fra le tante angolature che esso mi ha indicato, ne prediligo alcune, che voglio riproporre qui, citando frammenti, senza pretese di esaustività. Innanzitutto, il suo sguardo sulla storia, in anni in cui, sulle donne, questa disciplina tace: è lei ad osservare, nel 1949, che “Si potrebbe immaginare che la rivoluzione francese mutasse il destino della donna. Ma non fu così. La rivoluzione borghese rispettò le istituzioni e i valori borghesi e fu fatta quasi esclusivamente dagli uomini” e a ricordarci che Olympe de Gouges “muore sul patibolo” (I vol., pp. 147–148).
Si sa come oggi il lavoro riproduttivo in senso lato, il “lavoro di cura” sia analizzato dalle sociologhe nelle sue sfaccettature e nelle sue implicazioni non solo economiche. Mi colpirono in quest’opera filosofica le descrizioni del lavoro della casalinga, un lavoro che si rivela come la mitica fatica di Sisifo, che eternamente ricomincia: ruolo visto nella sua negatività, il pulire, lo sporco, la ripetitività, ma anche nel suo essere lotta corpo a corpo contro la distruzione cui sono sottoposte le cose del mondo. Questa coscienza si è riversata in qualche modo, quasi cambiando di segno, dal negativo al negativo-positivo, sulla generazione che l’ha seguita. Penso ad una bella intervista in cui la scrittrice Marie Cardinal così si esprime: “Eppure le donne sanno: esse sanno che se non mettono la carne al fresco in un giorno d’estate, la carne per conto suo si trasforma e va a male. Esse sanno che il vino diventa aceto. Esse sanno che se non ci si occupa delle cose, se non si prende interesse per esse, se non ci si dà da fare per metterle via o per curarle, le cose da sole si rivoltano, si guastano. Esse conoscono la rivoluzione attraverso questo”[10].
Mi vengono in mente anche le intense pagine di Armanda Guiducci, ne La mela e il serpentesul sangue femminile. Forse anche lì c’è qualche debito nei suoi confronti.
Mi piace che il suo sguardo sulla religione, dopo aver tagliato come un bisturi nelle perversioni, osservi a proposito di Teresa d’Avila che “Santa Teresa pone in maniera del tutto intellettuale il drammatico problema del rapporto tra l’individuo e l’Essere trascendente; essa ha vissuto come donna un’esperienza il cui senso supera ogni specificazione sessuale… Ma è una splendida eccezione” (II vol., p. 463–64).
E, vista attraverso i filtri di anni di autocoscienza, scritture autobiografiche, riflessioni di ogni tipo, mi appare disarmante la sua lucidità, chiarezza intellettuale, forse troppo debitrice della psicanalisi, nel discorso sull’amore fra uomo e donna. La sua capacità di vedere “dalla parte dell’uomo” non può esser fonte di possibili gelide e tutto sommato semplici verità? Si può leggere, per esempio, il capitolo su La donna innamorata:
Descritta dall’innamorata in panico la condotta dell’uomo sembra sempre stravagante: è un nevrotico, un sadico, un depresso, un masochista, un demonio, un inconsistente, un vigliacco, o tutte queste cose insieme; sfida le spiegazioni psicologiche più sottili ( … ) Queste storie misteriose diventano chiare quando l’uomo spiega: “Io non l’amavo affatto” o “Avevo dell’amicizia per lei, ma non avrei potuto sopportare di viverci insieme per un mese” (…) uno dei tratti costanti dell’erotomania è che la condotta dell’amante sembra enigmatica e paradossale; in questo modo il delirio della malata riesce sempre a spezzare le resistenze della realtà. Una donna normale talora finisce per essere vinta dalla verità, e per riconoscere di non essere più amata. Ma finché non è costretta a confessarlo, finge sempre un po’. (II vol., pp. 449–450).
L’amore autentico dovrebbe essere fondato sul riconoscimento reciproco di due libertà; ognuno dei due amanti allora si proverebbe come se stesso e come altro; nessuno rinuncerebbe alla propria trascendenza, nessuno si mutilerebbe. (II vol., p. 456).
Ci può restare questa utopia?
Scheda critica di Roberta Roberta Fossati
– laureata in filosofia si occupa di storia delle donne nell’età contemporanea
[1] cfr. ad esempio la rievocazione offerta dall’autrice alla femminista tedesca Alice Schwarzer su «la Repubblica» del 4 novembre 1976.
[2] Ida Magli, Il sesso e. la scrittura, in «la Repubblica», 16 aprile 1986, pp. 26–27.
[3] M. Marini, Il ruolo delle donne nella produzione culturale. L’esempio della Francia, in G. Duby e M. Perrot, Storia della donna in Occidente: il Novecento, Bari, Laterza, 1992.
[4] A colloquio con Simone de Beauvoir (intervista del 2 giugno 1977 rilasciata a Parigi ad Alice Jardine, pubblicata su «Sign», trad. di S. Costantini e M. Tagliaferri), in «Effe»
a. VIII, n. 5–6, maggio-giugno 1980, pp. 3–4.
[5] F. Collin, La disputa della differenza: la differenza dei sessi e i problemi delle donne in filosofia, in G. Duby e M. Perrot, Storia delle donne. Il Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 306–343
[6] intervista in «Effe», 1980, cit.
[7] R. Braidotti, Donne e filosofia in Francia, in «Memoria», n. 15 (3, 1985), pp. 39–51.
[8] «El Paìs», 18 aprile 1986, pp. 15–16.
[9] B. Poirot-Delpech, La passion de l’authentique in «Le Monde», 16 aprile 1986, p. 1 e 18.
[10] M.Loriga e S. Rosselli (a cura di), Intervista con Marie Cardinal, in «Rivista di Psicologia analitica», n. 16, 1977 (Esistere come donna), pp. 165–184.