Pompea – la non personaggia moglie di Cesare

E’ lei la moglie di Cesare che deve essere al di sopra di ogni sospetto.

“Mulier Caesaris non fit suspecta etiam suspicione vacare debet” . Questo si dice avesse detto Cesare in relazione allo scandalo della Bona Dea. Il comportamento deve non solo essere ma anche apparire impeccabile.

Vediamo i fatti che hanno dato origine al famoso detto.

Pompea Silla. Figlia di Gneo Pompeo Rufo e di Cornelia Silla, sposò nel 68 a.C. Cesare, dopo la morte della prima moglie Cornelia Cinna.

Notate un fatto: gli uomini citati hanno tre denominazioni onomastiche, mentre le donne ne hanno due. Manca il praenomen cioè il nome personale. Ci sono solo il nomen , che individua la gens – la stirpe – cui si apparteneva e il cognomen che indicava la famiglia cui si apparteneva nell’ambito della gens. Meglio degli schiavi, che avevano solo il nomen, ma senza il diritto ad una individuazione personale, che avevano solo gli uomini. C’è discussione sulla possibilità che le donne romane avessero sin dall’origine dei praenomina; in ogni caso pronunciare il nome personale di una donna in pubblico sarebbe stato giudicato una sconveniente intrusione nell’intimità sua e della sua famiglia.

Nel 63 a.C. a seguito della elezioni di Cesare a pontefice Massimo, che per conseguire la carica si era indebitato tanto da dire alla madre “O mi vedrai tornare pontefice o non mi vedrai perché dovrò andarmene” si trasferì nell’abitazione riservata al Pontefice Massimo, sulla via Sacra. In questa domus si celebravano i riti legati alla Bona Dea.

Bona Dea è un appellativo generico. Anche qui c’entra il nome, perché il nome della dea non poteva essere pronunciato. Varrone motiva ciò come una conseguenza della sua grande modestia; nessun uomo tranne suo marito aveva sentito il suo nome o l’aveva mai vista. Era un’antica divinità laziale, chiamata Bona Dea perché provvedeva gli uomini di tutti i beni della vita; Fauna, perché moglie di Fauno; Fatua dal latino fari (dire, parlare), perché prediceva alle donne il futuro, come Fauno agli uomini. La descrizione del culto ci mostra una divinità che opera pro populo, per il benessere di tutta Roma. La dea veniva raffigurata come una matrona romana con in mano una cornucopia e un serpente.

Alla dea erano dedicate due celebrazioni annuali: la prima si teneva il primo maggio presso il tempio della dea, ed era propria dei plebei. Il tempio della Bona Dea si trovava sotto l’Aventino e qui in un Bosco sacro le donne e le ragazze celebravano ogni anno i misteri della Bona Dea. Ercole, escluso egli stesso, per vendetta aveva istituito presso il suo Altare, posto poco lontano da quello della dea, cerimonie dove le donne non potevano partecipare.

La seconda celebrazione, condotta dalle donne patrizie e presieduta dalle vestali, si svolgeva in dicembre, A tal festa si ammettevano le sole donne, tanto che si facevano uscire dalla casa non solamente tutti gli uomini, ma anche tutti gli animali maschi e si coprivano tutti i dipinti dove un maschio era rappresentato. I riti più importanti si celebravano durante la notte e nella veglia notturna si alternavano giochi e musica.

Nel 62 a.C. nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, si teneva la consueta celebrazione annuale.

Il sacrilegio di Clodio – W. S. Bagdatopulos

In quella notte Publio Clodio Pulcro, giovane aristocratico impetuoso e violento, fratello di Clodia (la Lesbia di Catullo) travestito da flautista, fu introdotto nella camera di Pompea da un’ancella di Pompea di nome Abra. Qui fu sorpreso da un’altra ancella che serviva la madre di Cesare, Aurelia Cotta, che sovraintendeva al culto. Avvisata la madre di Cesare e accorse tutte le donne, nel tafferuglio Clodio riuscì a scappare.

Non sono chiare le motivazioni che indussero Clodio a compiere un simile atto: non sembra sufficiente il semplice ricorso ad una relazione amorosa con Pompea, ma si pensa piuttosto a una bravata giovanile colma di curiosità maschile, o a un atto di sfida contro il console Cicerone, cui l’anno prima era stato rivolto, secondo le vestali, un auspicio favorevole dalla Bona Dea.

Il giorno seguente in tutta Roma non si parlava d’altro. Cesare ripudiò Pompea con l’ usuale formula “Tuas res tibi Habeto” (prenditi le tue cose).

La vicenda non ebbe, in principio, grandi conseguenze; lo stesso Cicerone, anzi, ne parlava così in una lettera all’amico Tito Pomponio Attico:

«Publio Clodio, figlio di Appio, fu colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, e riuscì a fuggire solo grazie all’aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato.» (Cicerone, Lettere ad Attico, I, 12, 3.)

Ma violare un rito ufficiale che si compiva per il bene pubblico era sacrilegio, e si doveva renderne conto non solo alle persone offese, ma anche alla città e agli dei. Il Senato ordinò un’inchiesta e decise che si dovesse nominare un tribunale speciale e procedere contro Clodio.

Il processo per lo scandalo della Bona Dea iniziò nel maggio del 61 a.C. Clodio tentò di dimostrare la sua innocenza, affermando che in quei giorni non era a Roma, il che fu confermato da un suo amico, Caio Causinio Scola. Questi testimoniò di averlo avuto ospite in quei giorni a Interamna, l’odierna Terni.

Venne allora chiamato a testimoniare Cesare, che aveva ripudiato sua moglie Pompea e pertanto – così speravano i giudici – avrebbe fornito la prova definitiva circa la colpevolezza di Clodio. La madre di Cesare e Pompea, essendo donne, non potevano essere chiamate quali testimoni.

Tuttavia Cesare citato come testimone rifiutò di deporre contro Clodio. Clodio faceva parte della fazione dei populares cui apparteneva anche Cesare e presumibilmente entrare nel merito non gli conveniva, anche nei confronti della moglie Pompea, pure ripudiata. Dichiarò, che essendosi come di dovere allontanato dalla abitazione in occasione del rito, nulla poteva dire in merito.

Interrogato circa il ruolo di Pompea, si dichiarò convinto dell’innocenza della moglie. Quando i giudici gli chiesero perché avesse allora divorziato, rispose con la frase citata sopra, divenuta poi proverbiale: “La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”.

Sembrava che Clodio fosse riuscito a salvarsi, quando invece si presentò come testimone Cicerone. Cicerone testimoniò di aver incontrato Clodio a Roma poche ore prima che si intrufolasse nella casa di Cesare. Questo consolidò l’odio di Clodio per Cicerone, che ebbe poi successive conseguenze. Clodio fu comunque assolto, 31 giudici contro 25 furono a suo favore.

Clodio fu tribuno nel 1958 promulgando diversi provvedimenti a favore dei popolari nonché una legge De exilio contro Cicerone e cercò di spianare la sua casa. Fu ucciso in uno scontro tra le sue scorte e quelle di Milone nel 52 a.C. mentre si trovava fuori Roma, non lontano da un tempio della Bona Dea a cui Milone si stava recando con la moglie e una numerosa scorta.

Cesare sposò in terze nozze Calpurnia, figlia del senatore Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, nel 59 a.C., anno del suo primo consolato. L’anno successivo al matrimonio, Cesare fece in modo di far diventare console il suocero Pisone.

Le vicende successive di Pompea sono ignote, perché non compare più in alcun testo.

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